I microbrillamenti ed il riscaldamento coronale. L’articolo: “Coronal energy release by MHD avalanches. Effects on a structured, active region, multi-threaded coronal loop” di G. Cozzo (UNIPA) pubblicato su A&A

La corona è la parte più esterna dell’atmosfera del Sole, dove il plasma raggiunge temperature di vari milioni di gradi. Il meccanismo responsabile del riscaldamento del plasma coronale è una questione di lunga data. Risale infatti agli anni ’30, quando i fisici Bengt Edlen e Walter Grotrian proposero che le misteriose righe spettroscopiche osservate nell’emissione coronale non fossero dovute ad un nuovo elemento chimico chiamato “coronio” (come pensato per quasi settant’anni), ma ad atomi altamente ionizzati di ferro e calcio. La loro proposta sollevò non pochi dubbi all’epoca, proprio perché avrebbe richiesto un plasma a milioni di gradi e all’epoca non era noto un meccanismo capace di riscaldare il plasma dell’atmosfera solare fino a tali temperature.

 

Dopo decenni di ricerca, è ormai chiaro che tale riscaldamento è dovuto al campo magnetico solare. Il Sole, infatti, produce il proprio campo magnetico, e molti aspetti dinamici del Sole sono conseguenza del bilanciamento tra la pressione esercitata dal plasma e quella esercitata dal campo magnetico. Nella corona, che è dominata da strutture magnetiche a forma di arco (dipoli magnetici) che sono molto luminose nelle bande ad alta energia, la dinamica è dominata dal campo magnetico. Questi archi sono fasci di filamenti magnetici che vengono attorcigliati in continuazione dai moti rotatori della fotosfera ai loro piedi. Quando lo stress magnetico diventa eccessivo, il campo magnetico si riaggiusta improvvisamente rilasciando energia, attraverso un processo chiamato “riconnessione magnetica”.

 

L’astrofisico G. Cozzo, dell’Università degli Studi di Palermo, ha recentemente realizzato delle simulazioni magnetoidrodinamiche (MHD, dall’inglese “magnetohydrodynamic”) mirate a studiare in dettaglio il meccanismo responsabile del rilascio di energia all’interno delle arcate magnetiche. Il modello descrive dei tubi magnetici vicini che attraversano l’atmosfera stratificata del Sole dalla fotosfera alla corona e che si vanno attorcigliando a velocità diverse. A un certo punto, il più veloce dei due diventa instabile, tendendo a piegarsi (viene detta “instabilità di kink“) e a disordinarsi caoticamente, producendo riconnessione magnetica a impulsi. Questo processo presto “contagia a cascata” i tubi magnetici vicini e accende interi fasci di filamenti che sono poi gli archi che vediamo, attraverso vere e proprie tempeste di piccoli brillamenti (detti “nanobrillamenti“), di cui si cercano conferme nelle osservazioni di future missioni come MUSE e SOLAR-C/EUVST.
Le simulazioni sono descritte in dettaglio nell’articolo intitolato “Coronal energy release by MHD avalanches. Effects on a structured, active region, multi-threaded coronal loop” pubblicato su Astronomy & Astrophysics. Hanno collaborato allo studio anche gli astrofisici F. Reale e P. Pagano dell’Università degli Studi di Palermo e dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Palermo, e ricercatori dell’Università di St. Andrews, UK.

 

La figura (cliccare qui per visualizzarla interamente) mostra i tubi magnetici oggetto delle simulazioni, che curvati costituiscono le arcate. A sinistra sono mostrate le condizioni iniziali dei tubi. Il colore viola è utilizzato per indicare l’arcata soggetta ad un attorcigliamento più rapido. A destra, è invece mostrato in sezione come è distribuito il riscaldamento in 4 momenti successivi (nel pannello in alto è immportalato il momento in cui si innesca l’instabilità di kink; nel terzo pannello il momento in cui i due tubi laterali sono dissolti), i cui si vede come si vadano formando, prima al centro o poi ovunque, delle strutture sottili dove il riscaldamento è molto intenso.