Pubblicato il manifesto della task-force internazionale per lo studio degli effetti ambientali sull’evoluzione dei dischi protoplanetari

Pubblicato il manifesto di una task force che mira a studiare come l’ambiente di formazione stellare influenza l’evoluzione dei dischi protoplanetari e la formazione planetaria attorno alle stelle giovani.

I dischi protoplanetari sono strutture di gas e polveri che orbitano attorno a stelle appena formate (chiamate sia stelle di pre-sequenza che protostelle) durante le primissime fasi della loro evoluzione. Infatti, essi si disperdono generalmente in meno di 10 milioni di anni.

Nonostante il loro tempo di vita sia relativamente breve, i dischi protoplanetari rivestono un’enorme importanza. Dal punto di vista della stella, ad esempio, essi veicolano sia l’accrescimento di gas dall’ambiente circostante sulla stella stessa, sia l’espulsione di una grande quantità di gas sotto forma di lenti venti e rapidi getti altamente collimati. Inoltre, come suggerisce il loro nome, i dischi sono il luogo in cui possono formarsi i sistemi planetari attorno alle stelle giovani.

 

L’evoluzione dei dischi, le loro proprietà fisiche e chimiche e i tempi di dispersione possono essere influenzati anche dall’ambiente circostante. Questo avviene attraverso tre fenomeni, tecnicamente chiamati processi di feedback.

In ambienti stellari densi, tipici delle regioni di formazione stellare nelle loro prime fasi evolutive, l’interazione gravitazionale tra stelle vicine può avere un forte impatto sulla morfologia, la struttura e le proprietà fisiche dei dischi. Queste interazioni, chiamate “incontri ravvicinati”, possono indurre intensi fenomeni transitori di accrescimento, disperdere parte della massa del disco o facilitare l’aggregazione dei solidi in embrioni planetari.

Un altro importante processo è indotto da stelle di grandi massa che possono essere presenti nella regione di formazione stellare, in quanto queste stelle irradiano enormi quantità di radiazione ultravioletta. Se un disco protoplanetario viene irradiato dalla radiazione UV emessa da stelle di grande massa vicine (anche fino a pochi anni luce di distanza), parte di questa radiazione viene assorbita dal gas e dalle polveri del disco. Ciò innesca una serie di processi che ne alterano la struttura termica e le proprietà chimiche e, nei casi più estremi, può portare a una rapida dispersione del disco stesso. Questo fenomeno è noto come fotoevaporazione. Un processo simile può essere innescato anche da un intenso flusso di particelle ad alta energia, come i raggi cosmici.

Come detto, il disco veicola l’accrescimento di gas sulla stella centrale. Questo processo di accrescimento tipicamente termina in meno di 3-5 milioni di anni. In alcuni casi, si osservano però sistemi più evoluti in cui il disco cattura nuovamente materiale incontaminato dall’ambiente circostante, innescando un fenomeno di accrescimento tardivo. Si ritiene che tale materiale possa avere un impatto significativo sul processo di formazione planetaria all’interno del disco.

 

Lo studio degli effetti ambientali sull’evoluzione e sulla dispersione dei dischi protoplanetari è quindi di fondamentale importanza per comprendere, ad esempio, quali siano gli ambienti e le epoche più favorevoli alla formazione di sistemi planetari. A questo scopo, un team internazionale composto da circa 50 astronomi ha costituito una task force per analizzare questi effetti sotto ogni aspetto: attraverso nuove osservazioni ad alta risoluzione spaziale e spettrale di singoli dischi protoplanetari vicini a noi, studi di popolazioni di dischi protoplanetari in ricche regioni di formazione stellare a grandi distanze e lo sviluppo di modelli chimico-fisici.

Un vero e proprio manifesto di questa task force è stato recentemente presentato nell’articolo The past, present and future of observations of externally irradiated disks, pubblicato sulla rivista The Open Journal of Astrophysics. L’articolo illustra lo stato dell’arte degli studi sugli effetti ambientali nell’evoluzione dei dischi protoplanetari e le strategie per le future osservazioni con strumenti di ultima generazione, quali ALMA e il James Webb Space Telescope. Tra i partecipanti alla task force figura anche l’astronomo M. G. Guarcello dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Palermo.

 

La figura allegata (cliccare qui per visualizzarla interamente) mostra due immagini di dischi protoplanetari. A sinistra, l’oggetto YSO 294-606 nella Nebulosa di Orione, osservato con JWST/NIRCam, che non mostra segni di effetti ambientali. Nel pannello a destra, invece, l’oggetto YSO 244-440 osservato con VLT/MUSE. Quest’ultimo è immerso in una nebulosa prodotta dal gas “evaporato” dal disco a causa del processo di fotoevaporazione indotto da stelle di grande massa vicine.

 

Mario Giuseppe Guarcello 

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